Giorgio Ferigo

Nacque a Comeglians (Udine) il 9 agosto 1949. È stata una figura poliedrica di medico, scrittore, storico, etnologo, impegnato in ambito musicale, sociale e politico; instancabile organizzatore culturale, in particolare in Carnia. Laureatosi in medicina all’Università di Padova e specializzatosi in medicina del lavoro, dell’igiene pubblica e della prevenzione, operativo sul territorio e nella formazione del personale sanitario, dedicò impegno di ricerca e di scrittura alla prevenzione delle malattie professionali, all’igiene negli ambienti di lavoro, alla tutela dell’ambiente e in particolare al processo di sburocratizzazione delle politiche sanitarie; lo fece prima, con un gruppo di colleghi, in Friuli, poi in ambito nazionale all’interno della SNOP (Società nazionale degli operatori della prevenzione).

Della profondità di analisi e dell’efficacia della sua scrittura, ironica e spiazzante, testimonia soprattutto il volume Il certificato come sevizia. L’Igiene pubblica tra irrazionalità e irrilevanza (Udine, 2001). Già da studente a Padova avviò, agli inizi degli anni Settanta, con alcuni amici veneti, un sottile lavoro creativo nel settore della canzone in friulano. Fondò e fu l’anima del “Povolâr Ensemble” (un’etichetta che faceva il verso al brechtiano “Berliner”, adattato a Povolaro, la piccola frazione di Comeglians trasformata in emblema della qualità e della difficoltà del vivere, non solo in montagna).

La modalità espressiva dei concerti avviati nel 1976, l’alta qualità dei testi (tutti di F., in stretto “comelianòt”), la forza dell’impegno smitizzante e la qualità dei profili musicali che attingevano alla rivoluzione europea della canzone d’autore, fecero presto del Povolâr l’esperienza guida per il rinnovamento della canzone in friulano. Del gruppo restano cinque incisioni ormai “storiche”: Il timp das radîs (1980), Il cjamp dai pierdûts amôrs (una organica Spoon River “cjargnela”, del 1983), Notgrops del 1987 (che prende nome da un testo sottotitolato Blues dal torzeonâ di not), l’antologia del 1999 dedicata alle canzoni 1977-1988 (In forma di peraulas…), l’ironica, dura e complessa reinvenzione carnica dei testi di Brassens, Jerbata, del 2000.

Nell’ultimo periodo la sua raffinata cultura musicale e l’alta sensibilità letteraria e linguistica lo portarono a “voltâ”, a reinventare i testi in carnico di alcuni classici della letteratura musicale per l’infanzia: la ripresa di Chê dal soldât di Ramuz – Stravinskij, Pierino e il lôf di Prokof’ev, Barbarut elefantut e Las contas di mama ôcja di Poulenc e Ravel. Fu anima, dagli anni Settanta, del rinnovamento culturale operato dal Coordinamento dei circoli culturali della Carnia attraverso campagne di ricerca, interventi di critica militante, edizione di contributi originali dal 1985 sul periodico «Almanacco culturale della Carnia» e poi su altre riviste scientifiche.

Accompagnò lo sforzo di rinnovamento editoriale relativo ai temi storiografici, letterari e socio-economici della montagna («Parolegelate», «Cjargne culture»), sempre presente con puntuali recensioni, interventi, note critiche, traduzioni, cura editoriale di inediti. Sono molteplici gli interventi che F. dedicò ad aspetti diversi della storia e della cultura tradizionale della Carnia, fondandoli su una profonda conoscenza del rinnovamento storiografico a livello internazionale e su una solida e originale base documentaria: spiccano i contributi di demografia storica (Le cifre e le anime, 1985; Ancora di cifre e anime, 1994), sulla connessione fra storia dell’emigrazione alpina e storia delle idee (Morbida facta pecus… Aspirazioni e tentativi di Riforma nella Carnia del ’500, 1988, primo di altri contributi costruiti sulla documentazione inquisitoriale relativa alla montagna friulana), sulla ricostruzione di aspetti e implicazioni della secolare mobilità di mestiere che segnò la vita e la cultura della Carnia, sulla cultura materiale e i saperi tecnici, su specifiche tradizioni rituali (I nuviz, la fantâsima, il mus. Note sull’interdizione matrimoniale di maggio, «Ce fastu?», 1998; la Nota dello stesso anno, con Claudio Lorenzini, sulle pratiche divinatorie con il setaccio, e altro ancora).

Il periodo più intenso della sua attività di ricerca e di coordinamento di ricercatori per una nuova conoscenza della storia e cultura della Carnia coincide con quello in cui fu direttore del Museo etnografico di Tolmezzo, fondato da Michele Gortani e poi a lui dedicato. Maturò allora un insieme di ricerche innovative: quella che confluì nella mostra, convegno e volume dedicati al fenomeno dei “cramars”, dei tessitori carnici e delle relazioni fra Carnia, oltralpe e pianura (Cramars. Emigrazione, mobilità, mestieri ambulanti della Carnia in età moderna, a cura di F. e Alessio Fornasin, Udine, 1997); la partecipazione al piano di ricerca europea sui saperi e sulle pratiche della coltivazione e trasformazione tessile del lino (Linen on net, 1998); la riscoperta e valorizzazione di archivi fotografici e la partecipazione a sistematiche campagne di ricerca iconografica (ne sono testimonianza, ad esempio, la cura di La Carnia di Candoni. Così lontana, così vicina, 1999, e il contributo – Di alcune superstizioni igieniche relative alla morte – inserito nell’ampia inchiesta fotografica sui Cimiteri di montagna, 2002); la ricerca sui processi di alfabetizzazione (Dire per lettera… Alfabetizzazione, mobilità, scritture popolari dalla montagna friulana, 2002, in «Metodi & Ricerche», la rivista di cui fu stretto collaboratore) e la guida e collaborazione con la ricerca ampia e complessa sui mestieri e sulle pratiche artistiche del Settecento carnico (Mistrùts. Piccoli maestri del Settecento carnico, Udine, 2006). Come vicepresidente per la Carnia della Società filologica friulana, ha curato i volumi monografici dedicati a Tumieç (con L. Zanier, 1998) ed Enemonç Preon Raviei Soclêf (2005).

È morto a Tolmezzo il 5 novembre 2007.

Gian Paolo Gri – “Tratto dal Dizionario Biografico dei friulani”

Giorgio Ferigo – Bibliografia

Giorgio Ferigo – Piccolo aggiornamento bibliografico